Pericle, principe di Tiro

di William Shakespeare

 

Nei labirinti di Pericle

Malgrado qualche tentativo di giustificare un’opera così sfuggente spostandola agli anni giovanili di Shakespeare, come se lì fosse rimasta in attesa di chiarimenti, il Pericle è sicuramente un’opera tarda, forse contemporanea al Racconto d’inverno, e per alcuni indizi una sorta di preludio alla Tempesta. Registrato il 20 maggio del 1608, si sa che il dramma ottenne un successo notevole, e tuttavia è difficile dire quale fosse, esattamente, il testo andato in scena: la sola versione che ne abbiamo è una trascrizione abbastanza evidentemente corrotta, a cui si pensa abbiano messo mano autori o copisti diversi, cosa che almeno in parte spiega certe apparenti incongruenze, tali da accentuare l’enigmaticità delle intenzioni, e l’alterna qualità dello stile. Che quando è alto e fermo, e perciò per la nostra immaginazione “autentico”, tocca vertici di limpido, emozionante lirismo – e non a caso il Pericle  suggerì a T.S. Eliot una delle sue poesie più intense, Marina;  mentre si rivela altrove approsimativo, o puramente funzionale, o di maniera.

            Il dramma, che si presenta come un vero e proprio romance  ricco di eventi fantastici, di spostamenti di tono improvvisi, in apparenza del tutto indifferente a una consequenzialità o verosimiglianza narrativa, è il racconto di uno sprofondamento, di una perdizione (reale o metaforica) e di un ritrovamento esposti quasi per tentativi, come saggiando di volta in volta una possibilità di soluzione che si avverte comunque non definitiva. Per lo meno sul piano psicologico.

            Si apre con l’oscura rappresentazione di un incesto – e si può supporre una compresenza di desiderio, di turbamento, di orrore, che sembra aleggiare, non detta, su tutto il dramma. Prosegue con una serie di peripezie che coinvolgono il protagonista e Marina (l’episodio del bordello è fondamentale) lasciando intendere una continua variabilità e complessità di reazioni pur mantenendosi lineare il principio etico che le sostiene – ed è anche per questo che si potrebbe perfino ritenere deliberato il succedersi, altrimenti frammentario e sconnesso, di tanti “modi” teatrali diversi, dal nobile al popolare, dal lirico al grottesco. Si chiude, infine, ma forse non si conclude, con una scena di agnizione tra le più commoventi che siano state scritte.

            Il fatto che il nodo vero del ragionamento sottinteso sia difficile da definire è tutt’altro che strano se si accetta l’idea che la figura che il testo va componendo è insieme un labirinto e una spirale, dove ogni uscita è un ingresso, dove ogni cosa ritorna modificandosi  e tuttavia riproponendosi sul fondamento della prima scena. Tanto da far pensare che il centro del dramma resti il suo inizio. E lo stesso viaggio di Pericle, sempre per mare, sempre avvertendo in quella sostanza mobile e insicura la presenza di un’insidia inspiegabile, testimonia metaforicamente, nello stesso tempo, la pericolosità e l’inevitabilità della ricerca. Verso il superamento di uno stato “naturale” di dolorosa contraddizione, per un approdo alla purezza, all’armonia, ma come lasciando che non vi sia risposta di fronte a quell’insondabile commistione di attrazione e repulsione, ragione etica e ragione sensuale, che sembra dominare il protagonista. Con accenti, a volte, che anticipano un concetto di sublime.

            Che la vicenda narrata, nei “fatti”, si presenti meccanica e improbabile, lascia aperta anche l’ipotesi che l’autore stesse cercando di mettere a contrasto – con qualche impazienza – situazioni e pensieri estremi, per accentuare l’imprevedibilità stupefacente e miracolosa degli esiti. Dovendosi riconoscere, da questo punto di vista, che la carica potenziale del dramma finisce col manifestarsi più attraverso l’azione teatrale (che mostra, ma non spiega in modo esplicito) che non attraverso la lettura del testo. Il suo disegno generale, la sua architettura (voluti o casuali che siano gli scarti e le fratture), denunciano un’intenzione allegorica tutta da districare, e fanno del Pericle un problematico “morality play”.

Roberto Sanesi

 

William Shakespeare: un incontro con la natura

Pericle, principe di Tiro, è una delle ultime opere di William Shakespeare, un romanzo di avventure e insieme un viaggio dall’adolescenza alla maturità, dove si scontrano e si incontrano continuamente personaggi ‘alti’ e ‘bassi’, perfidia e bontà, situazioni pericolose, ambigue, poetiche e sorprendenti, prosa e poesia, in un affresco dell’umanità, espressione dello Shakespeare più maturo, pervaso di umorismo, cioè di quel pendolo oscillante tra il riso e il pianto che è anche la caratteristica della nostra compagnia.

Il perché di una scelta
il desiderio di affrontare (meglio: dialogare con) Shakespeare
la freschezza di un testo poco noto, e quindi non incrostato di interpretazioni
l’assenza, in Pericle, della verosimiglianza e della psicologia
l’essere il testo adatto alla nostra compagnia: tanti personaggi, niente primi attori, gioco scenico totalmente dichiarato, umorismo, ambiguità, velocità di narrazione
la struttura moderna: tutto è all’inizio
la collaborazione di un poeta e traduttore come Roberto Sanesi, di un artista come Joe Tilson e di tanti altri
i diritti d’autore scaduti

Traduzione-Tradizione
Come dice Joe Tison, sempre si traduce: si traduce un testo, un bozzetto, un’indicazione, un’intenzione, un suggerimento, un colore, “si entra e si sviluppa”: Roberto Sanesi traduce Shakespeare, noi traduciamo Roberto Sanesi, i realizzatori traducono Tilson e così via. Siamo tutti canali di comunicazioni di informazioni che vengono da altrove e andranno altrove, ma il canale influenza le comunicazioni e viceversa. Così di traduzione in traduzione passa attraverso di noi la tradizione.

Alcuni temi del Pericle
l’apprendistato alla vita e al teatro di due giovani
il potere del destino quale si configura all’inizio della vita (teatrale per un personaggio) e che tutta la informa
il viaggio iniziatico
la potenza degli dei
la compresenza di uomini, mare, dei, esseri soprannaturali
il conflitto tra i personaggi ‘alti’, che credono negli ideali e nei principi e i personaggi ‘bassi’ che hanno ridotto il loro orizzonte alle necessità quotidiane
le illusioni dei giovani, la concretezza degli adulti
l’ambiguo lieto fine
un teatro che si analizza mentre si fa

Fedeltà
Spesso, al telefono o di persona, prima dello spettacolo, il pubblico chiede: “Ma è uno Shakespeare come è, oppure è una…” dove i puntini stanno per una parola in sospeso, mai definita. Questa domanda, tanto ripetuta, mi ha fatto riflettere. ‘Che vorranno mai dire?’ mi chiedevo. Poi è venuta, chiara, la risposta: io sono completamente fedele a Shakespeare! Shakespeare, come tutti gli elisabettiani, sciveva e lavorava per la sua compagnia, per il suo teatro (inteso come luogo fisico) e per il suo pubblico. Io procedo in modo analogo, anche se mi servo delle sue parole. In realtà il testo è una maschera, una costrizione del corpo che si rivela essere la più grande delle libertà. Sono fedele anche a uno dei fondamenti del teatro, di cui proprio Shakespeare spesso parla tramite i suoi personaggi: l’azione, la recitazione devono essere credibili e vive! Dunque i rapporti di scena e col pubblico reali. Dove ci sono falsi rapporti non può esservi teatro: il teatro è antiborghese per natura.

Risonanze
In Pericle, principe di Tiro, vivono tanti personaggi che, di risonanza in risonanza ci portano in altri mondi, diversi, paralleli, ecc.
Ci sono quattro re, con la famiglia:
Antioco, il re crudele e incestuoso, il buco nero da cui bisogna fuggire per salvarsi, con la figlia
Cleone, il re debole e piagnone, succube della moglie Dionisa, infida e passionale
Simonide, il re burlone, con la figlia Taisa, poi regina a sua volta
Cerimone, il re mago, con la nipote.
Due principi:
Pericle, intorno al quale, o a beneficio del quale, si compone la vicenda e Marina, sua figlia, secondo fulcro dell’intrigo, persa e ritrovata, polo d’attrazione e novello pericolo, secondo il modello iniziale del racconto…
Tre pescatori e
tre ruffiani, gli eterni trii del teatro.
Due sicari, Taliardo Leonino
e, all’opposto, una buona governante, Licorida.
Un nobile, maestro di vita di Pericle, Elicano.
Un governatore mediocre e opportunista, Lisimaco,
e gli altri…
Ognuno di questi sta con noi per breve tempo, ma abbastanza per offrire una sintesi, oltre che di se stesso, di altri personaggi shakespeariani e per rimandarci ad altre situazioni, in altri mondi: Pericle è anche Amleto Lear, Dionisa è anche lady Macbeth, Antioco e la figlia ricordano Mirra, Turandot…, i tre pescatori e i tre ruffiani richiamano subito l’eterna formula del trio, dal clown al burlesco, dai Fratellini ai fratelli Marx, le tre streghe del Macbeth; i sicari non sono forse quelli di Riccardo III ? e così via…
Pericle è un’opera della tarda maturità, quasi una summa, rispetto al passato, e un embrione, rispetto al futuro…

Il mondo di Shakespeare
Ogni autore è un mondo diverso, ogni incontro con un autore è un’avventura alla scoperta di un nuovo mondo: William Shakespeare si rivela essere “un incontro con la natura”. E questa si presenta sotto forma di materie prime teatrali. Nessun altro autore che io conosca lascia una simile libertà, offrendo insieme un materiale così sicuro. Non si leggono parole, non si sentono volontà o intenzioni, ci sono atomi, molecole, onde, particelle e quant’altro serve al venire in essere delle cose, quali esse siano.
Shakespeare è davvero la natura.

Marina Spreafico

 

Traduzione
Roberto Sanesi

Regia
Marina Spreafico

Con
Alle Bonicalzi, Giovanni Calò, Valentina Colorni, Maria Eugenia D’Aquino, Mario Ficarazzo, Luca Fusi, Riccardo Magherini, Annig Raimondi

Scena e oggetti di scena
Joe Tilson

Costumi
Giulia Bonaldi

Musiche
Guido Morini

Luci
Fulvio Michelazzi