Un’ora con Dante – Inferno

a cura di Marina Spreafico

 

 

          E’ mio desiderio di fondo condividere con il pubblico la gioia che una lettura ingenua dell’Alighieri può dare e la scoperta che la sua poesia ci può accompagnare e nutrire per tutta la vita.

          Affronto la Divina Commedia dal punto di partenza che mi appartiene, il teatro, autorizzata in ciò proprio dal titolo del poema voluto da Dante, che ne è anche il protagonista. Presa alla lettera la Divina Commedia rivela l’azione che la genera e, a parer mio, un suo senso profondo.

          Nell’intento di ridare alle parole il loro corpo e la loro azione, senza retorica né idee preconcette e senza entrare nello sterminato campo delle interpretazioni e dei commenti, esploro il mondo della lingua dantesca, del suo suono e della sua magia.

          Potremo così vedere, sentire e rivivere ciò che il poeta immagina e aderire profondamente alla lingua madre attraverso colui che ne è stato definito il padre.

          Una sorpresa, spero, una scoperta e una conoscenza un po’ diversa del maggior poema italiano, caposaldo della poesia e del pensiero europei. Un invito al pubblico a partire in viaggio con Dante attraverso le sue parole.

Dante attore e musicista della sua Commedia
La Divina Commedia (nel titolo originale semplicemente ‘Commedia’)  è il racconto di un lungo viaggio nel cosiddetto ‘al di là’, viaggio intrapreso e portato a termine da Dante in pochi giorni, compiuto inizialmente da solo e poi con la scorta di varie ‘guide’, che cambiano cammin facendo.

          La Divina Commedia è una lunga soggettiva in cui Dante si presenta a noi come attore (cioè come colui che la agisce) e noi viaggiamo e vediamo solamente se con Dante ci identifichiamo, mimiamo i suoi gesti, diciamo le sue parole, ascoltiamo ciò che ascolta… cioè se facciamo nostro quel processo che era di Dante stesso:

Qual mi fec’io, che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise!
(Paradiso, V, 98)

          Dante traduce l’azione del suo viaggio in un linguaggio, cioè in un codice, che lo renda fruibile da parte altrui (noi), condivisibile. Questo codice è la lingua italiana, scritta e detta. Penso infatti che la lingua sia una notazione destinata ad essere detta, o per lo meno certamente lo era nel 1300, quando la maggior parte della popolazione era analfabeta; e Dante non a caso ha scritto in ‘volgare’. Ecco che allora Dante è attore che si fa scrittore.

          Ma c’è di più. Dante durante tutto il suo viaggio vede e sente, ode ed ascolta. Spesso abbiamo addirittura l’impressione che l’udito prevalga sulla vista.  Tutto il viaggio di Dante diventa per noi sia visivo che sonoro… Dante è anche il musicista della sua Commedia.

          All’Inferno non c’è ‘musica’. L’Inferno è un luogo cacofonico, dissonante, rumoroso, fragoroso, dove i suoni sono rumori cupi, assordanti, stridenti… manca totalmente l’armonia (e qui si può ricordare la frase di un altro divino autore, Mozart: “… se l’umanità potesse intendere la forza dell’armonia!…”). Quando la musica appare essa è distorta o una cupa parodia di se stessa.

          Ma poiché l’Inferno è tremendamente buio, Dante prima ode e poi vede o meglio intravede. I vari luoghi, personaggi, situazioni gli giungono prevalentemente alle orecchie prima che agli occhi. L’Inferno è un mondo prima sonoro che visivo… e il suo essere orrido e tanto inquietante deriva anche dal fatto che attraverso le orecchie le cose ci entrano nel profondo molto più fortemente che attraverso la porta degli occhi. Dalle orecchie non ci possiamo difendere, non possiamo chiuderne le ‘palpebre’, le orecchie ci obbligano a fare i conti con l’esterno…

 

 

a cura di
Marina Spreafico