Elisabetta e Limone

di Rodolfo Wilcock

 

Da molto tempo ho un’immagine ricorrente: socchiudo la porta di casa e subito scivola dentro una persona, di una parte qualsiasi del sud del mondo, che da ora abiterà in casa mia. La persona è gentile, non ci sono scambi di parole o altro, è semplicemente, inevitabilmente così. Fa parte di una folla che vaga e preme fuori, in attesa solo di una porta socchiusa. 

Ricordo una città africana di anni fa. Una moltitudine diversa, vagante, seduta nei parchi, sotto gli alberi, nessuna attività apparente, in attesa silenziosa, in mezzo all’operosità dei bianchi.

Un amico mi racconta un sogno. E’ su una strada e passa l’ultimo autobus, che non riesce a prendere. Da una parte della strada, le villette di un quartiere residenziale, dall’altra una scarpata. Improvvisamente dalla scarpata sale una folla di persone di colore, silenziose e misteriose. Attraversano la strada e cominciano a scavalcare i muri dei giardini.

Il rapporto annuale della conferenza mondiale sulla popolazione.

Elisabetta è nella sua casa, vive la sua vita assurda e felice. Entra, dalla finestra, qualcuno.

Nella sua casa/isola/tomba, Elisabetta si è ritagliata una propria autonomia, con le sue leggi, la sua giustizia. Le leggi dell’esterno, se ancora ci sono, sono indecifrabili o definitivamente dissennate, comunque non contano.

Il fuori è inafferrabile, forse pericoloso, inquietante; l’unica volta che si rivela, banale. Il dentro non ha regole universali, riconoscibili, solo una piccola regola personale, isolata. Ma è l’unica possibile.

E’ calata su di noi una specie di notte, ed è arrivata senza che ci accorgessimo la sabbia del deserto. Qua e là emergono punte isolate. 

Macerie contemporanee. 

Scomparsa la rete delle comunicazioni, le connessioni improbabili oltre che impossibili. Le mappe per recarsi da un punto all’altro inesistenti. Chi ha mai visto mappe del deserto? I sentieri si cancellano mentre li tracci, solo qualche orma per pochi minuti

                                                                      (Marina Spreafico – note di regia)

 

“Elisabetta e Limone”, rimasto inedito fino al 1982 e pubblicato da Adelphi nella raccolta “L’abominevole donna delle nevi e altre commedie”, fa parte di un periodo della produzione letteraria in lingua italiana di Rodolfo Wilcock, databile tra il 1964 e il 1968.

“Il sospetto di Mallarmé, che tra gli scopi del poeta ci fosse quello di dare un senso più puro ai vocaboli della tribù, determina da cent’anni ogni durevole attività letteraria, determina persino queste pagine effimere. Ma i tempi impongono il loro sigillo: a un’epoca barbara si addicono metodi barbari. Caratteristicamente barbara è la sovrapposizione di materiali preziosi ad altri grossolani, objets trouvés nel senso letterale della parola, resi unici dal contrasto. Così sono sorte molte di queste, più che illuminazioni, tenebre: incastonando, diciamo, un topazio spaccato nel telaio di una bicicletta arrugginita”.  (Rodolfo Wilcock)

Regia
Marina Spreafico

Con
Stefano Gandolfo, Susanna Ghiringhelli, Annig Raimondi

Spazio scenico
Massimo Scheurer

Costumi
Gillian Armitage Hunt

Oggetti
Cristina Terrone

Disegno luci
Fulvio Michelazzi

Maschere
Silva Trosi

Sarta
Gabriella Zellini

Costruzioni
Giorgio Menegardo, Tullio Ortolani

Organizzazione
Ruggero Dimiccoli, Francesco Dini