Beckett Beckett Beckett

di Samuel Beckett

 

 

Pezzi brevi di Samuel Beckett

uno spettacolo teatral-architettonico

Beckett Beckett Beckett è uno spettacolo profondamente legato al luogo per il quale è stato immaginato. Il Teatro Arsenale, trasformato questa volta in una moderna wunderkammer piranesiana, accoglie lo spettatore o, meglio, il curioso viaggiatore, per condurlo in una contemporanea discesa agli Inferi, forse, o salita al Purgatorio, forse… Fissati ai loro oggetti e alle loro azioni, dei personaggi del repertorio beckettiano sono dannati a raccontare, in un’eterna coazione – se all’Inferno, o in una provvisoria coazione – se in Purgatorio, i loro gesti e le loro parole, la loro storia. Personaggi tragici e risibili allo stesso tempo perché l’al di qua e il suo corrispondente, l’ al di là, hanno il loro humor. Diceva Beckett: ‘Tutto quello che voglio è star seduto sul mio culo e scoreggiare, e pensare a Dante’. E, sempre secondo Beckett, era proprio nei teatri più piccoli che le sue opere potevano essere meglio rappresentate. Beckett il più grande dopo Shakespeare, che si affronta con un certo timore, che mette la parola fine sulla scrittura drammatica come ci arriva dagli ultimi due millenni, una frontiera. Ci mostra l’Inferno e ci porta cosi’, dantescamente, sulla spiaggia del Purgatorio, dove – avanzando un po’ – potremmo trovarlo seduto pigramente sul suo culo, novello Belacqua con il quale si identificava.

uno spettacolo teatral-architettonico:

Penso che uno spettacolo sia profondamente legato al luogo per il quale viene immaginato e che la forma che acquista dipenda in non piccola parte dagli spazi in cui viene rappresentato. Vana infatti è l’illusione di un contenitore neutro buono per tutto, simile a un forno a microonde in cui venga infilata a riscaldarsi una pietanza precotta. Una rappresentazione teatrale, per essere davvero comunicante, deve appartenere al luogo per il quale viene immaginata e legata al tempo presente della sua rappresentazione, dal tempo comune in cui pubblico e attori la vivono. Hic et nunc, qui e ora, come recita un vecchio detto del teatro. Né vecchi tempi, né futuro, tempo perso, come dice Beckett.

Da parte sua la scenografia è oggetto da qualche tempo di un rinnovato interesse da parte dell’ Architettura. Potremmo parlare di una tendenza alla teatralizzazione dell’architettura che non solo diviene luogo ideale per lo spettacolo ma diventa spettacolo essa stessa. Possiamo riconoscere oggi, nello scambio tra teatro e architettura, un percorso comune svolto simultaneamente nei due campi. Nei rispettivi spazi abitati si riconosce una sorta di poliglottismo. Spazio di vita che diventa spazio della rappresentazione e spazio della rappresentazione che diventa spazio di vita.

Frammenti di architettura e frammenti di teatro dunque, da cui questo spettacolo, ideato insieme a un architetto; e proprio all’Arsenale perché, secondo Beckett, era nei teatri più piccoli che le sue opere potevano essere meglio rappresentate.

Un allestimento e uno spettacolo che terranno conto della nuova sensibilità allo spazio architettonico-rappresentativo, nato con le esperienze proprie del modo di concepire la scenografia degli architetti contemporanei. Uno sguardo e un esperienza di spazio contemporaneo per il più grande dei contemporanei.

gli interpreti:

Il Teatro Arsenale, fedele alla sua poetica, propone anche questa volta la sua compagnia formata da persone di ogni età: i suoi attori storici più, in percentuale minore, qualche new entry, in funzione della continuità e di un perenne rinnovarsi insieme, prendendo a modello la fonte prima del teatro, la vita. 

su Beckett:

Beckett: sicuramente il più grande dei moderni, colui che mette la parola fine sulla scrittura drammatica così come ci arriva dagli ultimi due millenni, colui che potrebbe essere definito un limen, una soglia, una frontiera tra il noto e l’ignoto futuro. Il grande Brook dice: ‘Eschilo, Shakespeare, Beckett’.  Lo si affronta con un certo timore. Personalmente lo vivo con un certo conflitto interiore: ammirazione sconfinata, condivisione del pensiero e voglia di mandarlo a quel paese… Per fortuna amava lo sport, così posso rapportarmi più facilmente. Amare e conoscere il movimento unisce. Quando vivevo e studiavo a Parigi lo vedevo seduto alla Coupole, ma quando si è giovani si pensa che le persone vivranno in eterno e che si avranno altre occasioni di incontrarle, ecc. Ora mi piacerebbe tornare indietro nel tempo, andare al suo tavolo, guardarlo, sedermi davanti a lui e dirgli: “…sì, la vita è tragica, una farsa tragica… e allora?… meglio danzare e cantare…”. Ecco, il conflitto che dicevo è tutto qui.

Marina Spreafico

 

Ideazione
Marina Spreafico e Pierluigi Salvadeo

Regia
Marina Spreafico

Allestimento
Pierluigi Salvadeo

Con
Giovanni Calò, Mario Ficarazzo, Paui Galli, Augusta Gori, Claudia Lawrence

sonorizzazione dal vivo
Walter Prati, Matteo Pennese

voce narrante
Salvatore Di Natale

costumi e oggetti
Giulia Bonaldi

teste di burattini della collezione di
Agostino Gori

organizzazione generale
Antonia D’Onghia

direzione tecnica
Piera Rossi

assistente alla regia
Lorena Nocera, Valentina Colorni

assistenza tecnica
Christian Laface, Marcello Santeramo

sarta
Mirella Salvischiani