L’ultima ad andare ed altre storie

di Harold Pinter

 

15 sketches in ordine di apparizione:
1. Quest’è il tuo problema
2. Tutto qui
3. L’intervista
4. Fermata facoltativa
5. Offerta speciale
6. Guai in fabbrica
7. Il candidato
8. Black and White 1
9. Il nuovo ordine del mondo
10. Precisamente
11. Black and White 2
12. L’ultima ad andare
13. Problema
14. Dialogo a tre
15. Notte 

A PROPOSITO DI UNO SPETTACOLO (testo scritto in occasione della 4a ripresa)

         La prima rappresentazione de L’ultima ad andare ed altre storie  ha avuto luogo nel mese di novembre del 1992. Da allora abbiamo riproposto lo spettacolo varie volte. Questa è la quarta.

         Tutto nasce da un’attesa. Mentre aspetto un amico entro in una libreria, sfoglio un libro edito da poco (1992) e comincio a leggere qua e là. Sono gli sketches di Harold Pinter. Alzando gli occhi di tanto in tanto mi sembra di vederne, attorno a me,  i personaggi. In alcune frasi ritrovo precise esperienze della mia o altrui vita.

          Percepisco queste brevi immagini e frasi come isole emerse da un tessuto di fondo: la città, il rumore, auto che passano, musiche a caso, luce elettrica del negozio, luce del crepuscolo che sta volgendosi in notte, fuori. Il brodo del negativo (non nel senso di un giudizio) nel quale ci troviamo, sul quale galleggiano frammenti di vita, di realtà osservabile. Forse un ordine che galleggia nel disordine. La prima immagine dello spettacolo è nata.

          Ma poi – come sempre mi avviene –  tutto scompare. Mi calo nella materia a mia disposizione: i brevi testi, lo spazio, gli attori, le informazioni che raccolgo, la vita osservata e vissuta, la lingua inglese e quella italiana…. e attendo che questa materia, a cui ho impresso un movimento iniziale, si organizzi e trovi la sua forma, e che questa a sua volta si colleghi organicamente alle forme che l’hanno preceduta, nel corso degli anni. Si chiarisce così un altro pezzo del divenire di un’opera che scorre (come un fiume) verso – non so dove.

          Ogni volta che abbiamo riproposto lo spettacolo, senza grandi cambiamenti, fino ad ora, son rimasta sorpresa della duttilità di questi brevi pezzi. Per esempio: parole che suonavano datate del tempo della loro scrittura diventavano, dopo un anno, perfettamente attuali, come il “Comunisti!” de L’intervista.  Sono curiosa di vedere cosa succederà questa volta. Un grande cambiamento verrà anche dal luogo, che non è quello che ha visto nascere lo spettacolo: lo spazio non è un contenitore neutro, ma uno dei termini in gioco.

          A distanza di tempo (scrivo prima di riprendere le prove) queste sono le immagini che si affacciano nella mia mente: la notte, isole di silenzio nel brusio, la violenza dei gesti e delle opinioni, una comica ottusità, rifiuti e cartacce, occhi che guardano, inspiegabili personalità, rapporti umani alla soglia del grottesco, velocità…. Pinter: due occhi che ci guardano.

          Allora avevo scritto: ” Negli sketches sono osservate brevi situazioni, per lo più quotidiane: due signore discutono del macellaio, un venditore di giornali e un barista hanno come argomento l’ultima copia del quotidiano che si vende, un candidato si presenta per un’assunzione, una donna fa un cattivo incontro aspettando l’autobus, ecc. Tutto è retto dai grandi temi umani e del teatro: tradimento, tentazione, sospetto, minaccia, intrusione, memoria… La vicenda è sprofondata, ne resta visibile solo qualche brandello, situato in qualche momento nell’arco di svolgimento dei fatti. Pinter ci mette di fronte a individui e situazioni che gli sono sconosciuti e che egli descriverà solo in immagini parziali perchè “entrare nella vita di qualcun altro fa troppo paura”. La distanza offre spazio di manovra per l’umorismo e l’ironia. La realtà di Pinter è intrisa di mistero: quello che vediamo e sentiamo è ben poco di quello che accade realmente. Nel nostro spettacolo, numero per numero, scorre sotto i nostri occhi una grande città, ora di giorno, con le persone del giorno e le loro situazioni, ora di sera o di notte, con i personaggi della notte. Bar notturni e negozi, uffici e case. Lo spazio si frantuma sotto i nostri occhi in rapide scene, mentre il tempo scorre e affiorano, restando brevemente con noi e poi scomparendo, frammenti di vita quotidiana, vista dallo sguardo impietoso di Pinter.”

Marina Spreafico

 

MI STRAPPERO’ IL TERRIBILE CAPPUCCIO
di Harold Pinter 

Nella camicia di forza dondolavo al sole,
in una pausa ostile, in un tempo deserto.
La primavera aveva già gettato la sua verde àncora.
Attorno a me solo i cervelli a spasso,
e i quattro soldi dei loro sogni zoppi
mentre stavo impiccato a dondolare. 

Questo gli dico a tutti –
solo il sordo può sentire, solo il cieco può capire
le miglia che farfuglio.
Fra le mie danze di somaro e diavolo
solo il muto può parlare fra  i detriti. 

Nella mia tazza il vento getterà il suo sputo,
con questo insulto feroce chiuderà la botola
scaracchiandomi in grembo a un ubriaco.
Sarò perseguitato dagli spiriti,
sarò bevuto da tutti i diavoli;
Oh malgrado le tante droghe oscure,
le spinte che mi danno nelle costole,
mi strapperò il terribile cappuccio.

 (Traduzione di Roberto Sanesi)

Nel 1957, quando esordisce con l’atto unico The Room rappresentato dagli studenti dell’Università di Bristol, Pinter ha già scritto testi poetici di notevole interesse per capire meglio come la vera materia, o trama, del suo teatro, il vero “evento” rappresentato, sia proprio la parola della poesia. Stralunata, contorta, densa, grottesca, insofferente delle nuove ricercate quotidianità del Movement, appassionata per libertà di giochi analogici e rapidità di scambio dei significati, ambigua e tuttavia mai astratta. Anzi accanita, a volte, nell’accumulare oggetti, personaggi, luoghi, suoni, soprattutto suoni, con una capacità di riverbero di tale sottigliezza evocativa da farsi appunto voce recitante. Nel suo apprendistato poetico sembrano incrociarsi un certo freddo senso dell’orrore elisabettiano e una deliberata ridondanza sovrareale, una specie di “passione metafisica” che nel tentare di scoprire il congegno del pensiero si comporta come un detective troppo emotivo, e un’esigenza lirica che non rinuncia al gioco ironico e trasgressivo del nonsense. Il poeta che gli è forse più congeniale è Dylan Thomas. Forse non a caso le poesie di Pinter, decisamente “neo-romantiche”, arruffate, contorte, stratificate, si faranno con l’esercizio drammaturgico sempre più scarne e limpide, fino a perdere (per l’autore) qualsiasi importanza. Mentre restano (per noi) il presagio del paradosso su cui si regge il teatro di parola: “Solo il sordo può sentire, solo il cieco può capire / le miglia che farfuglio”.

 Roberto Sanesi

Ideazione e regia
Marina Spreafico

Con
Giovanni Calò, Maria Eugenia D’Aquino, Mario Ficarazzo, Nicholas Hunt, Riccardo Magherini, Giancarlo Palermo, Annig Raimondi, Marina Spreafico

Spazio scenico
Massimo Scheurer, Marina Spreafico

Luci
Fulvio Michelazzi